Come di recente ha osservato l’autorevole storico Emilio Gentile, la dimensione programmatica e l’orizzonte democratico-ideale della Repubblica italiana sono ben sintetizzati dall’articolo 3 del suo dettato costituzionale, che, testualmente, recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Non a caso, il precedente articolo 2 sottolinea a chiare lettere che: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Nel tracciare e nel valutare criticamente le linee essenziali della “perversa” attuazione del federalismo fiscale e della “secessione” o “golpe” dei ricchi” incentrato sulla cosiddetta autonomia differenziata, si deve sempre ricordare che, nel richiedere “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, la finalità ultima della Repubblica italiana consta nel “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”. Ebbene, entriamo nel merito della questione e cerchiamo di capire perché ad oggi il federalismo fiscale sia stato attuato e l’autonomia differenziata è ad un passo dall’essere compiuta a “Costituzione rovesciata”.
A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, l’Articolo 114 dà seguito alla promozione delle autonomie locali, riconosciute dall’Articolo 5, affiancando allo Stato la centralità degli Enti locali – Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni – nella formazione della Repubblica. In quanto tali, le autonomie locali devono svolgere poteri e funzioni, cui deve corrispondere anche la dotazioni di risorse proprie (Art. 119). Si tratta del federalismo fiscale, che, appunto, consiste nell’introdurre dei meccanismi di ripartizione dei finanziamenti ai diversi centri di potere, in modo tale da dotarli di proprie risorse finanziarie.
Per evitare disparità tra territori ricchi e poveri, gli articoli 117 e 119 della Carta costituzionale prevedono, rispettivamente, la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e l’istituzione di un fondo perequativo, successivamente recepito dalla Legge delega 42/2009. Dunque, dal punto di vista formale nulla da eccepire: solidarietà, rimozione degli ostacoli, libero sviluppo della persona umana, uguaglianza dei diritti, autonomie, finanziamenti e perequazioni.
I problemi iniziano a sorgere quando dalla teoria bisogna passare alla pratica, quando dalla proclamazione dei principi astratti si deve passare alla loro attuazione concreta. Così, tra il 2013 ed il 2014 accade che la Commissione Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale, resasi conto che la determinazione dei LEP provocherebbe il fallimento di chiudere degli asili nido a Torino per aprirli a Reggio Calabria, non definisce i Lep, per adottare, invece, come criterio di ripartizione delle risorse la spesa vigente per i servizi effettivamente erogati in passato.
Il criterio della spesa storica fotografa la situazione esistente, per riprodurre ed ampliare i divari tra i territori relativamente ricchi del Nord e quelli relativamente poveri del Sud Italia, anziché perequarli. Un criterio che assegna risorse pubbliche a chi già ne ha e ne sottrae a chi già ne ha di meno, finendo coll’attribuire tanti zeri per gli asili nido a Comuni meridionali di oltre 77.000 abitanti, come nel caso di Casoria, o di oltre 100.000 abitanti, come nel caso di Giugliano in Campania.
Attuati gli zeri nel 2015 per molti servizi comunali che devono garantire la fruizione di diritti civili e sociali basilari, a partire dal 2017, il metodo degli zeri viene esteso anche ai rifiuti, ai trasporti ed ai servizi sociali. Nel frattempo, dal 2015 al 2016 il fondo perequativo viene attivato al 45,8% per essere arrotondato al 50% nel 2017.
Nell’ambito del saccheggio di 61 miliardi di euro di spesa pubblica allargata perpetrato nel triennio 2014/2016 ai danni dei cittadini del Sud, la “perversa” attuazione del federalismo fiscale ed il rovesciamento della Costituzione formale sono stati operati dal Partito trasversale del Nord, a cui si è ‘contrapposto’ l’assenza o il silenzio della classe dirigente meridionale sia a livello nazionale che a livello locale. Dunque, zero euro al Sud perché zero è stato il contributo delle sue classi dirigenti nel definire i criteri di ripartizione delle risorse pubbliche.
Dal Governo Monti a quello Letta, dal Governo Renzi a quello Conte, tra gli esponenti del Partito trasversale del Nord, si ricordano i nomi del siciliano Enrico la Loggia (FI) e del lombardo Giancarlo Giorgetti (Lega Nord), Presidenti della Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale; del piemontese Piero Fassino (PD), Presidente dell’ANCI; degli emiliano-romagnoli Vasco Errani (PD) ed Emiliano Stefano Bonaccini (PD), nonché del Piemontese Sergio Chiamparino (PD), rispettivamente Governatori delle Regioni Emilia Romagna e Piemonte. Tra i membri della Bicamerale, non possono non essere citati i nomi della Senatrice piemontese Magda Angela Zanoni (PD) e del Deputato romagnolo Giovanni Paglia (SEL), che, opponendosi all’ipotesi di perequazione, discriminarono i cittadini del Mezzogiorno, in quanto, secondo loro, essendo meridionali sono abituati a non ricevere servizi ed allo stesso tempo elevarono il privilegio dei ricchi a diritto ad essere ricchi.
Dunque, la scelta incostituzionale di capovolgere la Costituzione viene giustificata sulla base di posizioni larvatamente razziste e palesemente discriminatorie di intere aree territoriali, le regioni meridionali, i cui cittadini non sono considerati meritevoli di usufruire gli stessi servizi dei cittadini delle aree settentrionali. Il tutto in un quadro economico di decadenza nazionale e di forte sperequazione della distribuzione territoriale della spesa pubblica allargata, che, come ha riconosciuto lo stesso Conte, nel triennio 2014/2016 ha “scippato” al Sud più di 60 miliardi di euro, sottraendoli a famiglie, bambini, nonni, malati, medici, maestre d’asilo e docenti universitari del Mezzogiorno.
Ora, il carattere sperequato, iniquo, discriminatorio ed asimmetrico della “perversa” attuazione del federalismo fiscale viene ripreso per varare la riforma del cosiddetto regionalismo differenziato. Preceduto da tornate referendarie consultive su base regionale, svoltesi nel 2017 sia in Lombardia che in Veneto, dopo la Pre-Intesa siglata alla chetichella tra Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ed il Governo Gentiloni (2018), a dispregio del dettato costituzionale, sotto l’ombrellone del Governo giallo-verde, il diritto dei ricchi viene elevato a norma assoluta per l’attuazione della cessione di poteri, funzioni e risorse pubbliche alle Regioni che richiedono, illegittimamente, di trattenere sui loro territori i 9/10 del gettito fiscale.
Se tale Intesa dovesse essere siglata dal Governo Conte ed approvata dal Parlamento, il Mezzogiorno sarebbe “scippato” di ben 190 miliardi di euro di spesa pubblica. Il che ne determinerebbe il crollo e la definitiva subordinazione alle logiche etno-liberiste del mercantilismo settentrionale, istituzionalizzando, così, l’esistenza di “due Italie”.
Dunque, di fatto, nel corso degli ultimi decenni, il Partito trasversale del Nord ha rovesciato la Costituzione, riscrivendone, sul piano materiale, l’articolo 3 nel seguente modo: Tutti i cittadini non hanno pari dignità sociale e sono ineguali davanti alla legge con distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali, sociali e territoriali. È compito della Repubblica italiana porre gli ostacoli di ordine economico e sociale per impedire, di fatto, la libertà e l’eguaglianza di tutti i cittadini, nonché il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori stabili e precari, ufficiali e a nero, di tutti i disoccupati ed inoccupati, all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ma non è detta l’ultima parola. A seguito della mobilitazione culturale e civile promossa da giornalisti e docenti universitari, tra i quali, Marco Esposito, Gianfranco Viesti, Adriano Giannola, Massimo Villone ed Eugenio Mazzarella, a cui si sono affiancati esponenti dell’intellettualità media, attivisti sociali e politici, associazioni, reti civiche, Il Sud Conta, comitati meridionalisti, “Gaetano Salvemini”, giornali, Il Quotidiano del Sud, ed amministrazioni locali, tra le quali Cinquefrondi (RC) e Cercola (NA), per ora, la partita è stata rinviata a dopo le elezioni europee. Nel frattempo, alla mobilitazione civile e culturale si è affiancata anche quella sindacale, con gli scioperi del 10 maggio, proclamato dall’USB, e quello del 17 maggio proclamato da tutti gli altri sindacati.
Che fare? Bisogna proseguire in quella che è stata definita l’“operazione verità”, per fermare lo sciagurato disegno di fare pagare al Sud i costi della crisi economica e della gabbia liberista, rilanciando, contemporaneamente, la centralità della questione meridionale, in chiave sociale e democratica, come questione nazionale ed europea. Quali forze politiche saranno disposte a ri-rovesciare la Costituzione? Quali forze politiche saranno disposte a porre al centro dei loro programmi la perequazione dello storico divario tra Nord e Sud Italia?
19/04/2019 – Salvatore Lucchese